Tredici geni più me. È quello che ho pensato quando, qualche sera fa, mi sono ritrovata a cena con i relatori che hanno partecipato alla prima edizione – dopo l’anteprima dello scorso anno, s’intende – del Festival di medicina complementare e tradizionale di Foligno. Era la cena d’accoglienza e al mio arrivo erano già tutti seduti. Mi avevano lasciato un posto al centro del lungo tavolo. Così, dopo essere entrata, ho conquistato la mia sedia e mi sono guardata intorno. A circondarmi c’erano diverse personalità, tutte particolari. Delle eccellenze straordinarie, che mi hanno letteralmente lasciata a bocca aperta. E non per il bagaglio di conoscenze che si portano dietro. E neanche perché improvvisamente le mie orecchie non distinguevano più l’italiano, dall’inglese e dall’indiano. No. A lasciarmi senza parole è stata la loro assoluta, incredibile e strabiliante sem-pli-ci-tà. E pensare che di qualcuno avevo timore, mi sentivo in soggezione. Anche perchè, a differenza di Domenico Delfino che è l’anima scientifica del Festival, io mi occupo della parte organizzativa. Eppure, dopo un attimo che stavamo tutti seduti allo stesso tavolo, sembrava di stare a cena con amici di vecchi data. Certo, alcuni di loro già si conoscevano, magari perché si erano incontrati il mese prima ad un convegno in Messico o a un congresso in Vietnam. Altri invece si erano visti per la prima volta proprio quella sera. Ma tra il presentarsi, lo stringersi la mano, il darsi del tu e l’iniziare a chiacchierare come se si conoscessero da una vita, è bastato un battito di ciglia. Il filo conduttore di tutto è stato senza dubbio la scienza. Non poteva essere altrimenti. Ma a quel tavolo, c’era qualcosa di più. C’erano tredici sorrisi. Sorrisi rassicuranti, che esprimevano serenità. Quella serenità che permea anche il loro lavoro, nonostante operino in un settore in cui c’è sofferenza. Eppure l’affrontano con un passo diverso. La medicina complementare rientra a pieno titolo nei canoni di quella tradizionale, ma si distingue per una visione molto più aperta. Il principio di base è aiutare il paziente con qualsiasi mezzo, sia che si tratti di un’erba sia che si tratti di una terapia particolare. E i medici che la praticano rispecchiano totalmente quest’apertura. Ne ho avuto la prova provata durante il Festival. Terminate le loro conferenze hanno partecipato attivamente a tutte le iniziative collaterali. Insieme a loro ho fatto meditazione e tai chi. Insieme abbiamo preso parte alla cerimonia del tè. E tutte le volte che hanno potuto, hanno assistito alle conferenze degli altri relatori, con la curiosità di conoscere punti di vista diversi ed ampliare ancora di più quel bagaglio che li rende straordinari. E questo, probabilmente, è l’insegnamento più grande che mi hanno lasciato: l’aprirsi all’altro senza pregiudizi. Oltre ovviamente a tutto quello che ho imparato standogli vicina. Penso che se sei una persona che sa tanto e metti il tuo sapere a disposizione degli altri, allora sei il numero uno. E lo sei ancora di più, se fai tutto questo con semplicità e con il sorriso. E la nostra città ha bisogno di tutto questo. Di un Festival che possa essere una risorsa non solo per il sapere scientifico che diffonde, ma anche e soprattutto per l’insegnamento umano che può dare. E poi, che dire del fatto che si sono innamorati della nostra Foligno? In quel momento un moto d’orgoglio si è impossessato di me! Foligno ha fatto breccia nei loro cuori, abituati agli “strapazzamenti” delle più belle delle città del mondo. Eppure il centro del mondo li ha conquistati! Torneranno a trovarci? Sicuramente sì! Magari al prossimo Festival, magari nei panni di turisti. Un giorno, per caso, così.
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