“Non si tratta di evitare la sofferenza, bensì di imparare ad accettarla come un capitolo in più della storia della propria vita, che ha contribuito a farci arrivare dove siamo.”
Una volta un insegnante mi disse che il dolore rende grandi, più sensibili,attenti al mondo interiore, ma io quel momento avrei voluto di essere piccola, una ragazzina qualunque presa dai lucida labbra o dell ultimo 45 giri da comprare.
Invece avevo conosciuto il buio piu’ oscuro, lo strappo violento di un pezzo di cuore e poi il limbo grigio del silenzio.
Ricordo quei pomeriggi infiniti a casa mia, quando il silenzio rimbombava nei corridoi.
L’eco delle risa di gioia di qualche mese prima era stato sommerso dal grido soffocato del dolore che ci schiacciava.
Freddo e silenzio, sono i ricordi di quell’agosto del 1981.
Fu un’estate senza sole per noi.
Neanche le passeggiate, che finivano tra i vialetti del cimitero, riuscivano a scaldarci la pelle.
Nella mia testa portare il lutto era un dovere, mi sentivo soffocata dal dolore di mia madre, colpevole di essere viva.
In fondo Gaia aveva solo 4 anni e per le regole della vita avrebbe dovuto sopravvive sia a me che a lei. Lei che si era chiusa nel suo dolore e li erano ancora insieme.
Essere insensibile alla gioia, punirsi per il desiderio di vita, sembrava l’unico modo di essere ancora parte di loro.
Il dolore ci chiude il cuore in una gabbia buia attraverso la quale la gioia ci arriva a brandelli qua e là, allunghiamo le braccia tra le sbarre, prigionieri, per afferrare quel po’ che riusciamo a prendere.
Cosi’ passano gli anni e la storia scorre un po’ da spettatore un po’ da pierrot.
Ma la vita vince sempre, così un giorno, all’improvviso e per magia, ti fornisce la chiave della prigione e tu puoi ricominciare a volare librandoti nell’aria tra i colori, la musica e le parole.
Sono morta a 11 anni e rinata a 49,
In mezzo ho vissuto un limbo d’amore e dolore.